5^ Domenica di Quaresima – 6 Aprile

Letture: Ezechiele 37,12-14; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45


Ci sarà un tempo senza lacrime


Il libro del Qohelet dice saggiamente che c’è un tempo per piangere e un tempo per ridere (3,4), includendo tra questi due estremi tutte le variazioni possibili tra la gioia e il dolore. È la vita, bellezza. E non staremo a sottilizzare sul fatto che nella Bibbia si piange dieci volte di più di quanto non si rida, perché non sempre le statistiche rendono ragione della complessità delle situazioni (si può piangere per equivoci) e della loro ambiguità (si può piangere per motivi meschini). Assai più importante mi sembra la promessa di Dio per mezzo del profeta Geremia: “Cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni” (31,13). Una gioia si gusta ancora di più quando arriva a compensare lunghe e penose tribolazioni, per questo è significativo leggere in Isaia che sfavilleranno di gioia tutti coloro che erano in lutto per Gerusalemme (66,10). Una lettura ingenua della Scrittura finirebbe per farci pensare che Dio ci tiene a mollo nella tristezza per poi farci apparire più sostanziosa la gioia che ne consegue. La realtà è ben diversa: il pianto dell’uomo è quasi sempre conseguenza di azioni sciagurate che vengono intraprese per la propria rovina. Quando Gesù volge lo sguardo su Gerusalemme che si rinchiude nella propria incredulità scoppia in un pianto che esprime rabbia e frustrazione perché ogni tentativo di ricondurre alla ragione i suoi abitanti non ha raggiunto lo scopo (Lc 19,41). L’altra occasione in cui troviamo Gesù in lacrime è l’episodio della morte dell’amico Lazzaro. È quantomeno curioso che proprio Giovanni, l’evangelista che sottolinea con maggior vigore la divinità di Gesù, ci offra degli inequivocabili segnali di umanità e debolezza nel suo stare in mezzo alla gente: stanco e assetato nell’incontro con la samaritana, oppresso dal dolore per la scomparsa di un amico (Gv 11,35). Senza nulla togliere alla reale umanità di Gesù, occorre comunque notare che queste manifestazioni esteriori dei suoi sentimenti non sono mai uno sfogo incontrollato. Anche quando piange, Gesù non perde mai di vista la situazione e non si abbandona alla disperazione: “L’azione salvifica del Cristo risulta collocata su un piano del tutto diverso da quello delle sue reazioni emotive… non si può parlare di semplice sensibilità esistenziale, ma di uno sguardo superiore, eppure pienamente partecipe della sofferenza umana” (A.Miranda). Le lacrime di Gesù non sono semplicemente le lacrime di un uomo che soffre nel vedere una famiglia disgregata dalla morte, ma quelle di un Dio compartecipe al nostro lutto e apparentemente impotente. La risposta divina non è tanto nella risurrezione di Lazzaro, una soluzione soltanto provvisoria al nostro pianto, quanto in quella di Gesù che ci spinge a guardare oltre con fiducia. Del resto Gesù non ha mai detto che non si debba o che non valga la pena piangere per qualcuno, ma che un giorno sarà tolto ogni motivo per piangere.