Solennità di Pentecoste – 8 Giugno

Letture: Atti 2,1-11; 1Corinzi 12,3-7.12-13; Giovanni 20,19-23


La caparra della nostra eredità


Dello Spirito Santo si può parlare in vari modi, ma uno dei più affascinanti è leggerlo sotto la categoria della promessa. Il vangelo di Luca si chiude con la solenne anticipazione di Gesù di mandare sui discepoli “quello che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49), che ovviamente non è altri che lo Spirito. Un’espressione simile si trova nella lettura che abbiamo ascoltato domenica scorsa al momento dell’Ascensione di Gesù al cielo, il divieto per gli Undici di allontanarsi da Gerusalemme prima di avere ricevuto la promessa del Padre, essere battezzati nello Spirito Santo (At 1,4-5). Nel vangelo di Giovanni non troviamo il termine “promessa”, ma anche qui Gesù annuncia la venuta dello Spirito – indicato con il nome di Paraclito – sui discepoli perché possa insegnare ogni cosa e ricordare quello che ha detto (Gv 14,26). Ma la parola di Gesù è così autorevole che di fatto ha il valore di una promessa. Certamente lo Spirito non è l’unica promessa divina di cui si parla nelle Scritture. C’è la promessa di una discendenza per Abramo (Gen 21,1), quella della terra in cui soggiornare (Dt 19,8), quella del ritorno dall’esilio babilonese (Ger 29,10) e quella di cieli nuovi e terra nuova (2Pt 3,13). Si può dire che le promesse rappresentano l’anticipazione dei doni che Dio vuole concedere al suo popolo. Ma, come dice il proverbio, ogni promessa è debito! Ecco perché a volte gli uomini possono restare spiazzati di fronte al dilazionarsi del tempo del loro compimento. E così alcuni si chiedono con amarezza: “Dov’è la sua venuta che egli ha promesso?” (2Pt 3,4). Noi sappiamo di poterci fidare di Dio e che nessuno dei suoi impegni cadrà a vuoto (non sono promesse da marinaio!), ma non conosciamo i tempi in cui si realizzano. Lo spazio che separa la promessa dal suo compimento è quello che va occupato dalla fede. Ma c’è di più. Se è vero che non tutte le promesse divine si sono compiute nel mondo e nella chiesa, non possiamo trascurare quello che dice san Paolo con una espressione particolarmente incisiva: tutte le promesse di Dio in Gesù Cristo sono divenute “sì” (2Cor 1,20). Ciò significa che in lui queste promesse hanno avuto la loro realizzazione e in Cristo vediamo il modello di un’umanità che ha saputo accoglierle. Non per nulla lo stesso Paolo ci dice che proprio attraverso Cristo abbiamo ricevuto la promessa dello Spirito (Gal 3,14). Per noi battezzati la promessa dello Spirito si è compiuta, ma siamo consapevoli che abbiamo ottenuto soltanto la caparra della nostra eredità (Ef 1,14). Ora, questo non significa che lo Spirito sia un giocattolo che ci hanno messo in mano per trastullarci in attesa di diventare grandi e avere diritto alla nostra eredità. Oserei dire che lo Spirito è la condizione per ricevere l’eredità definitiva perché è grazie alla vita nello Spirito che posso dare un senso a quello che vivo ora. Senza lo Spirito potrei pensarmi come un ingranaggio del meccanismo che fa girare il mondo. Con lo Spirito mi rendo conto di essere protagonista di questa avventura che è la vita, pur riconoscendo che il regista non sono io, ma Qualcuno che conosce la trama fino in fondo.