5^ Domenica di Pasqua – 18 Maggio

Letture: Atti 6,1-7; 1Pietro 2,4-9; Giovanni 14,1-12


Ogni cristiano vive la vedovanza


L’armonia che regnava all’interno della comunità cristiana primitiva di Gerusalemme sembra infrangersi di fronte ad un problema estremamente pratico, la distribuzione dei pasti alle vedove. I credenti di lingua greca ritenevano che le loro vedove venissero discriminate rispetto a quelle di lingua ebraica e chiesero l’intervento dell’istituzione, cioè i Dodici. San Luca non dice che la critica fosse infondata, perciò il sospetto di qualche favoritismo è lecito, ma la questione porta ad una differenziazione di incarichi all’interno della comunità cristiana che avrà un impatto significativo negli anni a venire. Qualcuno dice che qui nasce il diaconato, qualcun altro che è l’invenzione della Caritas. Certo è che fin dalle origini i cristiani si sono distinti per una attenzione particolare ai poveri e le vedove ne rappresentavano una fetta significativa. In una società dove l’autorità riposava sulla parte maschile, perdere il marito era un dramma non soltanto affettivo ma anche sociale. Gesù stesso aveva enumerato tra i crimini compiuti dagli scribi del suo tempo il divorare le case delle vedove (Mc 12,40), lasciando intendere che approfittassero delle donne rimaste sole per impossessarsi dei loro beni. Ciò non significa, ovviamente, che tutte le vedove fossero povere: un caso classico è rappresentato da Giuditta, che alla morte per insolazione del suo Manasse eredita “oro e argento, schiavi e schiave, armenti e terreni che ora continuava ad amministrare” (Gdt 8,7). Ma si tratta comunque di eccezioni. La legge ebraica conosceva il problema e infatti prende delle misure che contrastino la povertà delle vedove: i residui della bacchiatura delle olive e della vendemmia delle vigne erano lasciati a disposizione di vedove e orfani perché potessero racimolare anche loro qualcosa per sostenersi (cfr. Dt 24,20-21). Ciò funzionava – almeno virtualmente – per la campagna, ma in ambito urbano la situazione doveva essere ben più drammatica. Una testimonianza indiretta del numero elevato di vedove proviene dalle lettere pastorali di Paolo, dove sono stabiliti dei criteri piuttosto rigidi per annoverare una donna nel catalogo delle vedove che beneficiavano di aiuti, tra cui un’età non inferiore a sessant’anni (1Tm 5,9). In sostanza l’aiuto della comunità rappresenta il modo concreto con cui Dio si prende cura delle vedove. Ma questo non ha implicazioni soltanto umanitarie, è anche un importante tema teologico. Nelle Scritture la vedova è spesso beneficiaria di particolari favori divini, come dimostrano i miracoli di Elia (1Re 17,7-16) e di Eliseo (2Re 4,1-7). Per questo quando il libro delle Lamentazioni descrive come “vedova” Gerusalemme dopo che la città è stata conquistata dai Babilonesi (1,1) apre in realtà uno squarcio di ottimismo sul futuro, lasciando presagire un prossimo intervento di Dio in suo favore. E in maniera simile ogni cristiano vive la condizione di vedovanza in attesa di ricongiungersi al suo Signore.